Fiat-Rcs: chi controlla il controllore?

Pubblicato sull’Huffington Post – 4 luglio, 2013

La notizia dell’aumento della quota di Fiat in Rcs segna un nuovo passaggio cruciale nelle vicende dell’editoria italiana. Oltre allo storico controllo dell’editrice La Stampa, il Lingotto si appresta ora a rafforzare la propria presenza all’interno di uno dei principali gruppi editoriali italiani.

Venerdì scorso, infatti, Fiat ha acquistato sul mercato un pacchetto di diritti per la sottoscrizione di nuovi titoli Rcs per un totale di 32,1 milioni. Come scritto nel comunicato dell’azienda, “a seguito di queste operazioni, al termine dell’aumento di capitale Rcs, nel caso in cui lo stesso risulti integralmente sottoscritto, la partecipazione di Fiat al capitale sociale ordinario di Rcs sarà pari a n. 87.327.360 azioni ordinarie corrispondenti al 20,135% del nuovo capitale sociale ordinario di Rcs”.

Con il 20% di azioni di Rcs, quindi, la Fiat diventerà il primo azionista, scavalcando Mediobanca che ne deteneva la quota principale. Oltre a dare alle stampe il Corriere della sera e la Gazzetta dello sport, il gruppo Rcs è primo per tiratura di copie nell’editoria quotidiana, grazie alla presenza di numerose testate locali. Come mostrano gli ultimi dati disponibili, la tiratura complessiva di tutti i quotidiani Rcs costituisce quasi un quinto di tutte le copie stampate in Italia. Ai quotidiani locali si aggiungono le radio del gruppo Finelco (fra cui Radio 105, Rmc e Virgin) e numerose case editrici (fra cui Rizzoli e Bompiani), che fanno del gruppo Rcs il secondo gruppo editoriale in termini di ricavi (subito dopo il Gruppo Espresso) e in generale il quinto gruppo nel settore dei media.

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È chiara dunque l’importanza della partita per il controllo di Rcs. Se da un lato il rafforzamento di Fiat può rappresentare una buona notizia per il momento turbolento che sta attraversando il gruppo editoriale, è difficile dire altrettanto per il più generale rapporto fra editoria ed informazione in Italia, dove da anni si lamenta la mancanza di un cosiddetto “editore puro” (ovvero che non abbia altri interessi al di fuori dell’editoria).

Al contrario, la presenza di un editore con molteplici interessi economici connota la stragrande maggioranza delle proprietà editoriali italiane. Non si tratta quindi solo della Fiat, ma di tutti i casi in cui un mezzo di informazione si trova in una situazione di conflitto fra gli interessi della proprietà e i canoni sacrosanti del diritto di cronaca. In altre parole, con quanta indipendenza un giornalista potrà riportare delle notizie sull’azienda che detiene la quota principale del quotidiano su cui scrive?

Il nodo da sciogliere nel rapporto fra editoria e informazione non riguarda quindi solamente l’influenza della politica e il conflitto di interessi (che pure costituisce tuttora una stortura macroscopica nel panorama italiano). A destare preoccupazione, infatti, è l’influenza ben più strisciante e silenziosa dei grandi gruppi industriali e bancari italiani.

Anche se nessuna regolamentazione potrà mai sanare questi problemi, una vera riforma del settore editoriale ed audiovisivo che regoli le situazioni di conflitto di interessi rappresenterebbe certamente un passo avanti. Eppure, il tema da tempo ormai non rientra fra le priorità del parlamento. Ci sarà mai spazio nell’agenda di questo governo per affrontare la regolamentazione dei media italiani?

Qui per approfondire.

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