Il referendum costituzionale italiano si è concluso con la vittoria del No con quasi il 60% dei voti. Fin dall’inizio della campagna referendaria, il primo ministro Matteo Renzi ha legato strettamente l’esito del voto a quello del Governo, spostando di fatto il significato del referendum da un voto sulla Costituzione a un voto sulla sua persona.
Se mettiamo in relazione i voti per il Sì con i voti per il Partito Democratico alle elezioni europee del 2014 emerge chiaramente come il voto per il referendum sia stato un voto “politico”, anziché un voto nel merito della riforma. Come mostra la Figura 1, le percentuali più alte per il Sì alla riforma si sono registrate nelle regioni dove il PD ha ottenuto più voti nel 2014.
La figura mostra anche un chiaro divario fra Nord e Sud. Nelle regioni del Sud d’Italia (inclusa la Sardegna), dove il supporto per il PD è minore, il Sì al referendum ha toccato i risultati più bassi a livello nazionale. Le regioni del Nord Italia si posizionano su valori intermedi, mentre le più alte percentuali per il Sì si sono registrate nelle storiche “regioni rosse” di Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche.
Se analizziamo i dati a livello provinciale, la Figura 2 mostra nuovamente una netta correlazione fra supporto per il Partito Democratico e supporto per la riforma costituzionale: il Sì ha ottenuto i risultati migliori nelle province dove il PD ha ottenuto più voti nel 2014, e viceversa.
I dati confermano che più che un referendum sulla Costituzione, si è trattato di un referendum sul Governo, e in particolare sul Presidente del Consiglio Renzi che fin dall’inizio ha legato i destini della campagna referendaria a quelli del suo Governo.
Renzi ha scommesso tutto sugli alti livelli di gradimento registrati dal suo Governo nei primi mesi e sul vasto consenso elettorale ottenuto alle europee del 2014. I soli “voti del PD”, però, non sono bastati a superare il 50% dei consensi al referendum. Come mostra una nostra recente analisi, personalizzare il voto referendario è una strategia rischiosa che può funzionare quando la fiducia nel Governo è alta, ma può ritorcersi contro i propri promotori quando cala il sostegno degli elettori per il Governo in carica.